LOUNGE WEBTV GENOVA: SENZA PARACADUTE - AUTORI IN CADUTA LIBERA
Intervista a LUCA LUME Con SERGIA MONLEONE e GIUSEPPE VIGNERA
Un blog, qualche romanzo
Luca Lume - Autore
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mercoledì 26 marzo 2025
lunedì 17 marzo 2025
sabato 7 dicembre 2024
Siria: 13 anni di rivoluzione/involuzione
Notizia di ieri: Damasco è in mano ai rivoluzionari (... avendo aggiornato il post il 10/12). Assad è fuggito in Russia.
I giudizi li darà la storia ma è qualcosa di speculare già visto in Iran. La specularità sta nel fatto che allora il regime (filo americano) era stato sovvertito da guerriglieri filo russi, Oggi è al contrario, sebbene gli integralisti islamici non abbiano un'alleanza cristallina con l'America.
12 anni fa scrivevo un racconto ambientato agli albori di quella guerra. Si trova qui sotto, a seguire.
I giudizi li darà la storia ma è qualcosa di speculare già visto in Iran. La specularità sta nel fatto che allora il regime (filo americano) era stato sovvertito da guerriglieri filo russi, Oggi è al contrario, sebbene gli integralisti islamici non abbiano un'alleanza cristallina con l'America.
12 anni fa scrivevo un racconto ambientato agli albori di quella guerra. Si trova qui sotto, a seguire.
Damasche
Di nuovo in viaggio, ancora alberi che sfilavano all’indietro e assieme a loro tutto il mio passato. Le prospettive si accavallavano e si confondevano in un riverberare di luci ed ombre. Una danza di sfioramenti dove le distanze si scalzavano a gerarchie di vicinanza. All’infinito. Ed ancora alberi e scogli che si perdevano nel cammino lasciato alle spalle. E pensieri e volti e voci.
Il mio cavallo era stanco. Io non dormivo, ormai, da molto tempo e nella stanchezza stentavo a riconoscere come miei i pensieri che mi si annodavano in testa.
Mi sentivo un parassita di quel povero animale. Lo sfruttavo da giorni, mi appropriavo del suo corpo, lo condizionavo, lo dirigevo. Un parassita. Certo, lo sfamavo e gli davo anche qualche pacca affettuosa sul groppone. Una sanguisuga non avrebbe avuto queste attenzioni, d’accordo, ma era solo una differenza d'approccio. Davo al cavallo per ottenere qualcosa che io non avevo: movimento, velocità, futuro.
Mi dissero che per raggiungere il confine era preferibile un cammello o al limite un cavallo.
La guerra ha bisogno di petrolio e con l’auto si rischia di rimanere senza.
Ci possiamo portare delle taniche. Dissi io.
Al confine sequestrano le scorte, se va bene. Se va male, lo fanno prima e si prendono anche la vita.
Lo ribattezzai Sanpaolo, il cavallo. Mi ricordava un somaro che mi accompagnò da Carrion de los Condes ad Astorga in Spagna. Nel mezzo del Cammino di Santiago. Date le zone in cui mi trovavo in quel momento, mi sembrava giusto aggiornare il santo, perlomeno.
Qualche giorno prima ero a Damasco. Ora in una zona non ben precisata, verso il confine col Libano.
I miei viaggi, fino ad allora erano stati scanditi dagli orari degli aerei e dei treni, dagli orari degli appuntamenti con i fattori della Saduk e figli, dai quali compravo datteri e prugne per poi rivenderli in Europa col marchio “Damasche” e, soprattutto, erano stati segnati dalle perdite di tempo con gli amministrativi doganali, sempre ben disposti a farmi passare la merce all’aprirsi del mio portafoglio. Erano viaggi bui e con molta voglia di tornare a casa al più presto.
Damasco? Sì bella, ma una volta, poi alla seconda è già un cumulo di sporcizia e povertà.
Arrivai l’ultima domenica di marzo, l’atmosfera era ancora molto tesa malgrado l’annuncio delle riforme che, a breve, avrebbe dovuto attuare il Presidente. Avrei dovuto passare dieci giorni di trattative con i locali per scongiurare le possibili carenze di scorte future ed ero pieno di euro e dollari, nel caso avessero voluto qualche rassicurazione da subito.
Dovetti spostarmi anche al porto di Laodicea con un improbabile autobus di linea, tra il caldo torrido delle secche pendici dell’Anti-Libano e le distese coltivate della frangia mediterranea. Settecento chilometri che non servirono a nulla. La rivolta era in una fase acuta in città e l’autista, dopo una concitata telefonata col suo capo, si fermò ad una decina di chilometri dal centro. Scesero un paio di persone e ripartì subito, riportandoci tutti indietro.
Due guardie militari mi fermarono alla stazione di Damasco. Lei è ebreo, mi dissero. Abbiamo controllato. Nelle loro teste in divisa non c’era altro sillogismo che il binomio ebreo-spia. Poi tutti questi dollari e questi euro.
Sono ebreo, sì, di famiglia, ma non credo a nulla, sono un commerciante e voglio tornare a casa al più presto con i miei contratti. Ma evidentemente, pensai, loro avevano l’idea che tutte le spie si spacciassero per dei commercianti e fossero imbottiti di dollari ed euro.
Passai alcuni giorni rinchiuso in una cella per accertamenti. Ma l’idea era quella che volessero, comunque, farla pagare a qualcuno.
Fuggire, però, non fu difficile, soprattutto se ti trasportano su di un camioncino con le portiere senza sicura.
Amicizie? No, in Siria non ne avevo. C’erano solo contatti, conoscenze di lavoro, mercanti. Tuttavia tornarono utili. Mahdi, un bracciante della Saduk, mi ospitò nella sua casa per un paio di giorni.
Domani vado via, verso il Libano con Huda, mia moglie e i bambini. Mi disse. Puoi venire con noi.
Partimmo di notte a cavallo, lasciammo la città da sud, compiemmo un ampio arco verso ovest attorno agli ultimi quartieri della periferia e ci dirigemmo, infine, verso nord.
Huda era il nostro faro, sapeva perfettamente dove andare, sicura nella notte e prudente sotto il sole. Capii ben presto che era una combattente antigovernativa. Il marito non sapeva nulla.
Le nostre strade si divisero a Qura al-Asad, dopo un paio di giorni di viaggio. Mahdi si convinse che fosse giusto appoggiare la causa della rivolta. Sarebbero ripartiti dopo pochi giorni per Aleppo. Huda mi indicò la via per il Libano. Disse che era preferibile non passare il confine ad ovest, benché fosse vicino, ma di proseguire a nord ovest, verso Al Zabadani e da lì raggiungere la frontiera attraverso i monti.
Mi lasciarono il cavallo. Pensando alla loro povertà considerai il gesto una delle prove che l’umanità è capace di molto, quando non si muove nelle quadriglie della società. Li ringraziai e ci salutammo.
L’idea di essere da solo in una terra di conflitto mi faceva rabbrividire. Mi assillava il pensiero che, alla fine, a quel confine non ci sarei mai arrivato. Eppure era così dolce il suono degli zoccoli su quel sentiero impolverato e di notte i paesi che sfilavano illuminati dal firmamento più denso che avessi mai visto, davano una parvenza di tranquillità e spensieratezza al mio vagare.
Dopo aver passato altri due giorni a vagabondare per quelle terre non mi era più chiaro se stessi ancora fuggendo e, se sì, da cosa. Dall’accusa di essere una spia? Dalla guerra? Probabilmente nel marasma di quei giorni le mie sorti non sarebbero interessate più a nessuno. Potevo stare un po’ più tranquillo e chiedere ospitalità a qualcuno per passare le notti o era meglio continuare il mio viaggio? Era chiaro che senza i miei documenti confiscati dai militari non avrei potuto far nulla, dovevo solamente raggiungere un’ambasciata oltre confine e sperare nella clemenza delle autorità libanesi per avere un nulla osta per il rientro.
Proseguii zigzagando, senza precisi punti di riferimento. Sapevo orientarmi con le stelle ed ero certo di non essere troppo lontano da Al Zabadani, ma la sensazione era quella di girare in tondo. A tarda sera alcune montagne distanti sembravano ritornare nella stessa posizione della mattina ed ormai erano già passati quasi sei giorni da quando avevo lasciato Damasco, avrei dovuto essere già ben oltre il confine.
Mi fermai in un frutteto. Era quasi notte. Il mio mezzo di trasporto ansimava e sputava un liquido verdastro. Forse era malato o forse affranto per la lontananza dei suoi padroni, pensai. Ma probabilmente era solo stanco ed affamato.
Arance, mele, kiwi. Un paradiso. C’erano persino alcune mucche che, malgrado l’ora, pascevano tranquille in una collinetta che si trovava a poche decine di metri da me. Mi abbuffai. Il vecchio Sanpaolo sembrava impazzito, saltava per afferrare le mele più alte, dimostrando che la stanchezza è di una materia meno consistente della fame. Alla fine munsi del latte dentro la borraccia e lo bevvi quasi ad ingozzarmi.
Stavo bene. Le stelle e la leggera brezza della sera infondevano una tranquilla voglia di vivere. Di sognare. Era molto che non lo facevo. Il lavoro, gli obblighi di ogni tipo. I debiti. Ero confinato in una vita che non mi permetteva più di avere uno spazio per i sogni. Ora ero distante da tutto, ero in viaggio, disperso in un mondo che quasi non conoscevo ma che sentivo appartenermi. Forse solo per l’idea che stavo conquistandolo metro per metro, con sofferenza. Fuggendo. Tuttavia non avevo la percezione di vivere qualcosa di completamente diverso da me, da quello che era stata la mia esistenza fino a quel momento. Era una sensazione di pienezza e di appartenenza alla terra.
Non avevo lasciato il mio vecchio mondo. Stavo aggiungendone pezzi.
Quando la notte si fece fresca di brina, accovacciato in un sonno profondo, sognai una cascata che portava con sé le foto della mia vita. Rividi quella dei i miei nonni felici con le loro dentiere nuove e lucenti. Sorrisi nel ritrovare la fotografia di mio padre con un mattone in mano, mentre costruiva i primi muri della nostra casa. Alla fine tutte le foto scomparvero nella corrente, ne rimase solo una, incagliata in una rocca. Era quella del mio matrimonio, che non c'era mai stato.
Al risveglio sentii una forte fitta alla schiena. Pensai di averla sognata, ma girandomi di scatto vidi la canna di un fucile che riprendeva stabilità nelle mani di un uomo. Recuperato l’assetto, mi sorrise e spingendo la canna sul mio costato, pronunciò alcune frasi incomprensibili. Poi le sue parole divennero più decifrabili: Tutti uguali voi italiani, tutti dei ladri.
Lasciò scivolare l’arma sul suo fianco e mi tese la mano per farmi alzare.
D’altronde la fame è fame. Aggiunse.
Mi condusse attraverso un filare di palme da dattero che sfociava in una collinetta piantata a vite. Alla nostra sinistra c’erano alcuni cedri. Davanti a noi, ai piedi della collinetta, c’era un casolare.
Mia casa, mi disse. Sua casa era quello che, quasi, non avevo mai osato desiderare. Pensai che per qualche errore i miei sogni fossero stati esauditi ad uno sdentato di settant'anni e con l'aspetto da pirata di terraferma. Forse se l’era meritato, ma ne dubitavo.
Mi accolse in casa sua con un caffè alla turca e molti sorrisi. Io gli parlai dei miei ultimi giorni da fuggitivo.
Smise di sorseggiare il caffè ed il suo sorriso si tramutò in ghigno di scherno. Mi disse che ero stato uno sciocco a scappare. La portiera del furgone non era stata lasciata aperta per caso. I militari, in qualche modo, avevano saputo del mio denaro e la povertà non lascia molto spazio per le buone azioni.
Ciò che mi era stato requisito avrebbero dovuto rendermelo una volta accertato che non fossi una spia. Così no, così rimaneva tutto a loro. Lo fanno spesso.
Ora, però, ero un fuggitivo. Dovevo allontanarmi dal paese. Mi disse che il confine non era lontano. Era oltre le colline, ma meglio lasciare il cavallo e proseguire a piedi per non dare nell'occhio. Senza documenti e senza soldi era difficile passare la frontiera.
La giornata si dilatò nell'ondeggiare delle foglie di vite e nelle vaporose tazze di caffè corretto con liquore di dattero che il mio ospite mesceva con dovizia. Poco si può, lo dicono le Scritture.
La mattina del giorno seguente ero pronto per attraversare la frontiera. Riposato e rifocillato. Ringraziai l'uomo. Salutai il mio compagno Sanpaolo, con l’idea che in mezzo a quella natura tranquilla e rigogliosa sarebbe stato bene.
Bevvi l’ultimo sorso di liquore e mi addentrai nei cedri.
Camminai in discesa per un sentiero polveroso. Quando i cedri lasciarono il posto a ginepri e ginestre vidi ad una cinquantina di metri alcune persone. Mi videro anche loro. Ormai proseguii ostentando naturalezza. Ma avvicinandomi notai le loro divise. Le loro auto. Erano poliziotti. La mia fuga finiva qui. Non ero una spia, ma ero fuggito ad un arresto.
Forse il vecchio sdentato mi aveva tradito? Probabile, pensai.
Andai incontro al mio destino, intuendo lo sguardo delle guardie seguire ogni mio passo. Mi sentivo come quando sull'orlo di un precipizio si avverte un'attrazione fatale per il baratro. Come se una forza interiore ci volesse far assaporare la sciagura ed un'altra forza, la paura, ne bilanciasse la spinta tenendoci ancorati alla vita, raffigurando una danza incerta e dondolante tra noi ed il nulla.
Allo stesso modo davo alle mie gambe due ordini inversi: scappare ed andare avanti. Fu più semplice proseguire nella discesa, verso il baratro.
Arrivato alla loro altezza non percepii nessun movimento. Solo uno di loro salutò con un sorriso incuriosito. Mi fermai, incredulo.
Parlai francese. Forzando la mia voce a mantenere un tono candido e leggero, chiesi loro quanto mancasse ancora per il paese. Una domanda senza senso, non sapevo neppure dov'ero. Mi accorsi che non lo avevo chiesto nemmeno all'uomo che mi aveva ospitato.
Poco, manca poco, dissero. Mi chiesero se fossi un giornalista e che ci facessi da solo in quelle zone.
Sono una spia israeliana, ho ammazzato alcune guardie a Damasco e sono fuggito. Il pensiero di questa risposta mi fece sorridere. Stavo riuscendo ad essere tranquillo, quasi estraneo agli eventi, anche se in verità sapevo di essere, ormai, in trappola.
Sono un commerciante. Ero un commerciante, ora non so più cosa sono. Si guardarono e mi chiesero i documenti. Risposi che li avevano loro a Damasco.
A Damasco non avevano nulla. Dovetti seguirli al Comando.
Raggiunta la cittadina notai qualcosa che non focalizzai subito, ma si materializzò pian piano e diventò evidente una volta arrivati al Comando di Polizia. Il cedro. Nella bandiera c’era un cedro. Ero nel Libano. Per quanto di nuovo in arresto, ero salvo.
Il Comandante sembrò comprendere la mia situazione e disse che avrebbe fatto il possibile per farmi tornare a casa. Gli italiani avevano fatto molto per il suo popolo e si sentiva personalmente riconoscente. Gli italiani sì, ma io potevo essere un omicida. Tacqui e sorrisi annuendo. Però, aggiunse, dopo tutto quello che avevo passato, farmi rubare il cavallo da quel turco, non era stato un finale degno.
Scoppiai a ridere. Un turco. Ero stato fregato da un truffatore turco. Ma mi rallegrai: quel paradiso non era il suo, mi dissero che era solamente il custode dei quei poderi. Il proprietario era uno dei più ricchi possidenti della zona. Mi sentii sollevato. In uno stato d’euforia assoluta benedissi tutti i truffatori turchi del mondo.
Sentivo una pace interiore smisurata ed ebbi la forte sensazione che dopo quell’esperienza sarebbe andato tutto in modo diverso.
Mi era chiaro, a quel punto, un pensiero che avevo abbozzato quasi venti anni prima, percorrendo a piedi gli oltre ottocento chilometri che separano Roncisvalle da Finisterre. Un pensiero che si sbiadì nel giro di pochi mesi da quel viaggio, ma ora era fresco come se tutto il tempo passato lo avesse alimentato con silenziose conferme.
Nelle lunghe giornate di cammino, spesso mi interrogavo sul perché avessi voluto intraprendere quel viaggio. Alla vista dell’oceano, alla fine del mio vagabondare, maturò l’idea che, in fondo, mi ero spinto in quell’avventura per farmi delle domande. Solo domande; le risposte, un giorno, sarebbero arrivate.
Questo era stato il viaggio delle risposte.
Da lì a pochi giorni tornai in Italia ritrovando tutto quello che avevo lasciato.
Presto ripartirò, pensai.
“Damasco? Era un cumulo di sporcizia e povertà, ma era bellissima… Era bellissima!”
domenica 16 giugno 2024
La sconfitta dell’autunno
(Piove sulle tame… Basta, piove su tutto!).
Piove
più di quanto il ciel ne abbia
No…!
Anche sul
candido
color del mio calesse!
Insomma,
l’auto: quattro ruote
e nessun puledro. E
piove sabbia!
Infine,
credo, è proprio così:
le primavere non son più le stesse.
Poi,
però,
vado rimuginando:
vediam un pochetto altrove
Il
mio sguardo in fondo è piccino
Poi
mi chiedo, sì, ma dove?
E,
cercando, scorgo un posto carino.
Mi
avvicino, voltando il
mio sguardo un po’ severo
E
vedo cieli e terre, prati e stelle
Mai
accorto mi ero
che lì, non ho dubbi:
è per davvero,
Tutte
le cose fosser così belle
Piange
la gioia e un pochino sorride anche ‘l dolore
Son
spiazzato, inciampo e cado. Che faccio? Urlo!
Perché
mai non mi accorsi di tutto questo colore?
Attorno
a me, silenzi Ma sto bene e alla fine di me mi burlo.
So
dove sono! Questa bellezza non è altro che immaginazione
La
conosco. E ora, a ben vedere qualche voce arrivar la sento
Mi
parla quel fantasma, quel ciliegio e uno stregone
E
sapete che vi dico? Di rimaner qui, più non me ne pento.
(… Bimbetto, ti infradici, torna a casa!).
venerdì 7 giugno 2024
domenica 2 giugno 2024
giovedì 9 maggio 2024
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Avanti Savoia Quando querce e castagni diventeranno marmo continua a sinistra. Poi sempre dritto, in su per il sentiero, mi dissero. Con me ...
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